«L'inferno esiste solo per chi ne ha paura».

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  1. Equinox´
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    tiziogigafigoperpostx25

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    Rigel Anthemon| Damnar

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    These clouds we're seeing,
    they're explosions in the sky.
    It seems its written, but we
    can't read between the lines.
    ____ ___ __ _

    fghdgfhh


    Il fremito della vita stava già percorrendo le carni della città, mentre un
    cielo spoglio e biancastro. In poche ferite dimenticate, i raggi riuscivano
    a farsi spazio oltre le nubi e disegnare strane ombre lungo le lastre di
    freddo granito che preludevano alle grandi mura della Cattedrale.
    Tip - Tap. Tip - Tap. Anche con il capo chino, il Miserabile ascoltava le
    suole calpestare la nuda pietra, con una ritmica meravigliosa. In abiti
    scuri, ombre eleganti passavano senza distogliere lo sguardo da un
    obiettivo così lontano da apparire indistinto. Voci sommesse, sussurri
    confusi. Petrolio, era petrolio. Ed ogni essere umano, era un'onda che
    si infrangeva contro altre, in un moto continuo, convulso ed osceno.
    Stava poggiato lì, seduto a terra, malamente. La schiena poggiata su
    una delle colonne del lato destro, il corpo tutto avvolto in un manto
    chiaro. Aspettava qualcosa, aspettava qualcuno, sicuro nell'ombra di
    quel grande monumento all'Ideale. Ciocche di capelli nascondevano
    uno sguardo assente. Le labbra, leggermente screpolate, davano
    una strana tonalità a quel volto. Le braccia cadevano lungo i fianchi,
    le mani volgevano i palmi a poche stelle lontane. La pelle, candida,
    si dipingeva come per magia, solcata da quei riflessi iridescenti che
    solo preziose vetrate potevano generare. Come gemme - ma ben
    diverse, creavano colori. Veri. Quasi tangibili. Aveva tentato chissà
    quante volte, di afferrarli. Sorrideva sempre, nel vedersi fallire.
    Nel vederlo lì, come morto, era stato prima rimproverato. Poi aveva
    suscitato pietà. Poi disgusto. Stava, come una cosa dimenticata. Una
    cosa persa, senza esser stata mai posseduta. Stava, con i capelli
    disordinati. Stava, con gli occhi di cielo estivo ed asfalto rovente.
    Il vento danzava leggero, attraverso il colonnato, mentre il povero
    Demonio improvvisava occhi contenti distrattamente, ai passanti.
    Dietro le palpebre, confusi, si agitavano pensieri schiusisi da
    un'anima plumbea. Se il suo petto fosse stato un oceano, la sua
    anima non sarebbe che un relitto, incagliato tra gli scogli di fondali bui.
    Attendeva. E sapeva che, prima o poi, le onde del tempo avrebbero
    portato qualcosa, sulla riva. E quel prezioso dono del Mare, lo avrebbe
    accolto tra le mani e rigirato sotto il sole, come una biglia, per
    indovinarne tutti i riflessi.
    Attendeva, all'ombra di quella Maestà silenziosa, poco sopra
    una fila di gradinate. Il volto per metà celato dall'ombra, un
    mantello dalle sfumature d'avorio. Chiunque avrebbe evitato
    con cura un qualsiasi contatto con quello che sembrava un corpo
    morto. E a guardarlo bene, oltre la carne, lo era.

     
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    E chissà se mai quell’ombra che si confondeva così bene con le altre – come nutrendosene o, se meglio o peggio non saprei dire, se fosse stata partorita dall’oscurità stessa – avrebbe incontrato la persona, il qualcuno o il qualcosa, l’evento che tanto aspettava. Questo non ci è dato saperlo, ma possiamo narrare un incontro, che, per quanto apparentemente non interessante, infine avrebbe potuto rivelarsi anche degno di attenzione, chissà!
    La persona che a breve avrebbe fatto il suo ingresso in scena non stava davvero badando né alle stelle, né al vento, né tantomeno alla poesia della notte in sé. Diciamo che era ben presa in tutt’altre faccende, le quali potremmo definire “immorali” da un punto di vista umano – e probabilmente etico -, ma che, se cambiamo prospettiva rigirando la scacchiera, potranno sembrare quanto di più comune e banale: semplicemente, senza grandi giri di parole, era ora di cena, anche per i vampiri.
    Destino volle che quella sera qualcosa andasse storto, dannatamente storto.
    Colui che da questo lato della scacchiera – che per gioco definiremo “il bianco”, stia al nostro primo regista se accogliere o no la prospettiva dei “neri” – faceva la sua avanzata lungo il lastricato, a pochi centimetri dal susseguirsi quasi continuo di muri di case, palazzi ed altri ecomostri simili; ecco, proprio lui stava attraversando un periodo abbastanza difficile.
    Il nostro Dimitri non era una persona poi così brava ad autogestirsi, ad auto controllarsi ancor meno: era sempre stata la sua maledizione, l’incapacità di rendere conto di se stesso a se stesso. E così, nonostante i tentativi della sorellina Noel di calmare la sua anima stranamente irrequieta, quella sera il giovane Metherlance aveva autonomamente scelto di provarci, riprovare un’altra maledetta volta a rilasciare “l’altro se stesso” pur cercando di mantenere lucidità. O almeno, limitare i danni che un totale abbandono alla parte rinomatamente poco gentile di lui avrebbe sicuramente provocato.
    Forse i nostri discorsi risulteranno oscuri a chi non conosce l’intera storia, ma sta proprio qui il bello: ogni cosa ha almeno due facce, non una meno interessante dell’altra. E se forse una biglia, in quanto sferica, mostrava tra loro facce simili o quantomeno coerenti, qualcosa come un cubo, coi suoi rigidi contorni che ponevano netti confini tra una faccia e l’altra, sarebbe stato decisamente più interessante da analizzare.
    Dunque rieccoci alla scena iniziale: la notte fonda, l’ora tarda, il cielo illuminato dalle stelle, qualche timido raggio di luna che spazza via le ombre superflue ed una città in attesa del giorno nuovo. Davanti alla cattedrale un uomo in attesa di qualcosa, lungo la strada un uomo in cerca di qualcosa; tuttavia, i relativi oggetti d’interesse erano sicuramente troppo diversi per definirli “accomunati” dall’azione di ricercare.
    L’attenzione del dhampir, appena uscito da un vicolo, venne attirata dal più grande monumento presente nella piazza che gli si prospettava davanti: una bianca e grande chiesa.
    Una smorfia di disgusto gli si dipinse istintivamente sul volto e fece un passo indietro, leggermente inquietato dalla visione di un luogo così sacro; considerò con disapprovazione e vergogna che la parte di sé che tutti chiamavano “Dimitri” probabilmente sarebbe stata persino capace di entrare in una chiesa col sorriso sulle labbra. Quelle stesse labbra lui invece le assottigliò e le incurvò verso il basso, mentre gli occhi azzurri venivano attraversati da un lampo di insofferenza: non intendeva rimanere oltre in presenza di quel luogo che odiava tanto.
    Fece così per tornare sui suoi passi – il cibo era ovunque, dopotutto -, magari avrebbe agguantato malamente qualcuno e se lo sarebbe trascinato nel primo vicolo, quando un mantello bianco ai piedi della cattedrale attirò la sua attenzione.
    Il primo contatto visivo con quella specie di cadavere Dimitri lo ebbe con la coda dell’occhio; arrestò l’incedere ritmico, attendendo con ben poca pazienza che tutta quella gentaglia che passava di lì – non avrebbero dovuto essere a letto a quell’ora, questi inutili pezzi di carne ambulanti? – gli desse la possibilità di osservare meno distrattamente quello che a prima vista scambiò per un barbone: stravaccato malamente contro una colonna della cattedrale, con le braccia penzoloni lungo i fianchi ed i palmi rivolti al cielo, in una posizione del tutto innaturale, ogni tanto rivolgeva un sorriso a chi gli passava vicino.
    Cos’era, un drogato, forse?
    Drogato, barbone o semplicemente matto, il dhampir sollevò un sopracciglio ed infilò con un gesto veloce la mano nella tasca del cappotto nero che indossava, rivolgendogli uno sguardo fin troppo veloce, alzando poi gli occhi alla chiesa. No, non intendeva metterlo sotto i denti, per due semplici motivi: primo, si trovava esattamente ai piedi di un luogo che gli dava i nervi solo a guardarlo, secondo… beh, lui non mangiava persone che sembrano sospese tra la vita e la morte.
    In realtà, a dirla tutta, era però un po’ incuriosito.
    Tornò ad infilare una mano dentro la tasca del cappotto, da cui estrasse un orologio da tasca; premette il pulsante ed il coperchio si sollevò, rivelando il quadrante che segnava le undici: era ancora molto presto, aveva tutta la notte a disposizione. Chissà, magari si sarebbe anche avvicinato se non ci fosse stata nei paraggi quella maledetta catted-…
    *BUM*
    Dimitri sollevò gli occhi al cielo, prima di realizzare che quello che era appena caduto poco lontano era un fulmine, un fulmine maledettamente potente, che illuminò a giorno la notte per un millesimo di secondo. Dovette battere le palpebre un paio di volte, era infatti rimasto accecato da quella fastidiosissima luce. Non ebbe neanche un minuto per pensare a cosa fare – la mente era in black out, come se fosse rimasta fulminata -, tanto che quando sentì le prime gocce di pioggia sul volto non si mosse, non fiatò, non rimase neanche sorpreso; anzi, a dirla tutta alzò anche il capo verso il cielo, come a voler essere partecipe di quella manifestazione della natura mentre le persone lì intorno correvano a trovarsi un rifugio o aprire eventuali ombrelli.
    Dimitri invece si diresse in direzione della chiesa, sotto il cui architrave avrebbe trovato riparo. Così, con passi lenti e misurati, il giovane raggiunse i gradini e li salì senza badare alla pioggia, la cui intensità stava rapidamente crescendo.
    A differenza però dell’uomo a cui si era progressivamente avvicinato e che ora distava pochi metri in linea d’aria, i lievi raggi di luna che ancora riuscivano a raggiungerli non risaltavano affatto il dhampir, anzi, forse rendevano solo ancor più spettrali i già chiarissimi colori dell’incarnato, dei capelli e, soprattutto, delle iridi che guizzavano leste su ciò che lo circondava.
    Sul viso aveva un sorriso appena accennato, ma per niente felice né tantomeno sereno. Era un sorriso, e basta.




    Edited by Elysion - 17/5/2012, 14:22
     
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1 replies since 13/5/2012, 14:46   99 views
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